venerdì 7 dicembre 2012

PETRA JEAN PHILLIPSON: voce noir in abiti vittoriani


La donna ha una voce. E non nasce dalla costola di un uomo. Non ne è succube.
Petra Jean Phillipson possiede una sua idea di femminismo, ispirato alla figura di Lilith che si contrappone a quella di Eva.
Pelle chiarissima e occhi azzurri. Vestita come una dama elisabettiana, con un merletto al collo e i capelli raccolti. Sembra provenire da una fiaba.
Nata nel 1973 ad Ashford, nel Kent, dopo la collaborazione con David Holmes nel progetto Free Association, una session di canto in cui accompagnava Marianne Faithful e Martina Topley-Brid ed un lavoro cinematografico come “Analyse That”, Petra Jean Phillipson torna finalmente al suo elemento naturale. La sua musica. Citando influenze che vanno da William Blake a Elizabeth I, da Josh T. Pearson a My Brightest Diamond, da Syd Barrett a Siouxsie Sioux, la Phillipson realizza così il secondo capitolo della trilogia “Notes On” a cinque anni di distanza dal primo atto. Il nuovo lavoro, in collaborazione con Matthew N Hopwood, compagno di vita e di musica, è doppio e si intitola “Notes on: Death” che, diviso in due parti, ‘black’ e ‘white’ in cui ognuna bilancia l’altra, trasuda rabbia e spasmo, inquietudine e perdizione, distorsione e aggressione.
L'umore dei suoi testi è nero, infernale come la voce di Robert Johnson e le pagine di Edgar Allan Poe: tormento, dolore e passione. Una stasi straziante e magnifica, raggiunta in tempi recenti solo da Antony & The Johnsons.
La Phillipson dichiara di volere prendere le distanze dalla sessualizzazione esasperata delle artiste, tipica dell’odierna industria discografica. Canzoni spettrali e a tratti minacciose, basate sull’alternanza tra minimalismo acustico ed esplosioni. Un’elettricità sferzante e scheletrica. Come lei stessa dichiara, le registrazioni si sono svolte “basandosi sull’elettricità della luna piena”, un’elettricità notturna ed animalesca.

C’è una selva da attraversare.
Ci sono tante lune da venerare.
Una miriade di ombre da cui sfuggire.
Quiete solo apparente.
Sostanza, non solo forma.
Meraviglioso gioco di rimandi fra luci e ombre.

Un vero e proprio viaggio dantesco che porta la cantante alla rinascita. I momenti di calma pastorale sprigionano una qualche insofferenza interiore. Un lavoro ambizioso e perfettamente riuscito. Il ritratto di una personalità che si rivela tremendamente ricca di spessore e talento.
 Marianna Saggese

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