La donna ha una
voce. E non nasce dalla costola di un uomo.
Non ne è succube.
Petra Jean
Phillipson possiede una sua idea di femminismo,
ispirato alla figura di Lilith che si contrappone a quella di Eva.
Pelle
chiarissima e occhi azzurri. Vestita come una dama
elisabettiana, con un merletto al collo e i capelli raccolti. Sembra
provenire da una fiaba.
Nata
nel 1973 ad Ashford, nel Kent, dopo la collaborazione con David Holmes nel
progetto Free Association, una session di canto in cui accompagnava Marianne Faithful
e Martina Topley-Brid ed un lavoro cinematografico come “Analyse That”, Petra
Jean Phillipson torna finalmente al suo elemento naturale. La sua musica.
Citando influenze che vanno da William Blake a Elizabeth I, da Josh T. Pearson
a My Brightest Diamond, da Syd Barrett a Siouxsie Sioux, la Phillipson realizza
così il secondo capitolo della trilogia “Notes On” a cinque anni di distanza
dal primo atto. Il nuovo lavoro, in collaborazione con Matthew N Hopwood,
compagno di vita e di musica, è doppio e si intitola “Notes on: Death” che,
diviso in due parti, ‘black’ e ‘white’ in cui ognuna bilancia l’altra, trasuda
rabbia e spasmo, inquietudine e perdizione, distorsione e aggressione.
L'umore
dei suoi testi è nero, infernale come la
voce di Robert Johnson e le pagine di Edgar Allan Poe: tormento, dolore e
passione. Una stasi straziante e magnifica, raggiunta in tempi recenti solo da
Antony & The Johnsons.
La
Phillipson dichiara di volere prendere le distanze dalla sessualizzazione
esasperata delle artiste, tipica dell’odierna industria discografica. Canzoni spettrali e a tratti minacciose, basate
sull’alternanza tra minimalismo acustico ed esplosioni. Un’elettricità
sferzante e scheletrica. Come lei stessa dichiara, le registrazioni si sono
svolte “basandosi sull’elettricità della luna piena”, un’elettricità notturna ed animalesca.
C’è
una selva da attraversare.
Ci sono tante
lune da venerare.
Una miriade di
ombre da cui sfuggire.
Quiete solo
apparente.
Sostanza, non
solo forma.
Meraviglioso
gioco di rimandi fra luci e ombre.
Un
vero e proprio viaggio dantesco che porta la
cantante alla rinascita. I momenti di calma pastorale sprigionano una qualche
insofferenza interiore. Un lavoro ambizioso e perfettamente riuscito. Il
ritratto di una personalità che si rivela tremendamente ricca di spessore e talento.
Marianna
Saggese
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